Ph., G.AdC UCCIDILI TUTTI […] Tutti quei libri, che ero stato così felice di poter avere, per la prima volta, tutto intorno a me, cosa che a casa non mi era mai stata possibile, ora mi toglievano l’aria, mi soffocavano. Improvvisamente, quel giorno, mi resi conto di essere circondato dal pensiero di uomini morti, sotto forma di libri scritti da uomini morti, da poco o da tanto, ma morti. Tutti. A parte quelli scritti da me, naturalmente. Ma anche dando per scontato il fatto di essere vivo, essi non mi riguardavano più da tempo e, da un certo punto di vista, cioè dal punto di vista del presente, non li avevo nemmeno scritti io. Gli altri autori, comunque, erano tutti morti. Lo verificai passando in rassegna la mia libreria, ossia la mia casa, in cerca del libro di un autore vivente, cercando di smentire quell’orribile impressione che, al contrario, mano a mano che scorrevo i titoli, o prendevo in mano un libro, diventava sempre più certezza. Tutti morti, mi dicevo, sono tutti morti. E non so come, mi capitò in mano un Bernhard, Il nipote di Wittgenstein. Il mio primo Bernhard, pensai, quello che avevo comprato alla libreria Le Scie un sabato pomeriggio. E pensando a quel pomeriggio, aprii il libro e andai subito alla prima pagina, in cerca dell’annotazione che a volte, a seconda dell’umore, aggiungo alla data di acquisto e alla firma. Lessi : 13 febbraio 1989, alle Scie con Max. La libreria Le Scie, che non esisteva più da tempo, come il mio amico Max, che avevo ucciso in immagine pochi anni dopo. Come Thomas Bernhard, pensai improvvisamente, che proprio in quello stesso anno, mentre io, attirato dal nome Wittgenstein, compravo il suo primo libro, giungeva alla fine della sua esistenza. E io avevo comprato, e poi letto, il mio primo Bernhard, nello stesso anno della sua morte, pensai, e andai subito a cercare la data della morte di Thomas Bernhard, ma nell’edizione che tenevo in mano era scritta solo la data di nascita. Naturalmente solo la data di nascita, pensai, visto che, quando è stato stampato, Bernhard non era ancora morto. Allora ne presi un altro, e constatai che sí : l’anno della morte era effettivamente il 1989, ma non c’era il giorno né il mese. Inutile irritarsi per queste mancanze e inesattezze. Del resto, se i librai vendono i libri come se fossero salami, gli editori fanno i libri come se facessero insaccati. Resta da definire il ruolo degli scrittori i quali, di fatto, forniscono la materia prima per questi insaccati, e non si fanno scrupolo alcuno a usare pesticidi e steroidi e sementi geneticamente modificate e quant’altro, in modo da offrire all’industria culturale, che è essenzialmente un’industria di trasformazione, un prodotto appetibile, se non già trasformato, comunque in possesso di tutti i requisiti per essere facilmente assimilabile, confezionabile, vendibile, in una parola per farne un prodotto di serie. In un certo senso, pensai cercando tra i Bernhard, gli stessi scrittori sono ormai prodotti di serie, si pensano produttori, ma sono prodotti. Per fortuna, pensai continuando a sfogliare un Bernhard dopo l’altro, ogni tanto si incontra un coltivatore solitario. Trovai quello che cercavo in una raccolta di testi brevi, che recava in appendice una esauriente scheda bio-bibliografica. Lessi : Il 12 febbraio 1989 Thomas Bernhard muore nella sua abitazione di Gmunden, assistito dal fratello Peter Fabjan, per le conseguenze della cardiomegalia. La notizia della morte viene comunicata per volontà dello scrittore solo il 16 febbraio, a funerali avvenuti. Nel testamento Bernhard dispone che… Morto il 12 febbraio, pensai rimettendo il Bernhard al suo posto per riprendere subito l’altro Bernhard, ossia Il nipote di Wittgenstein, che di nuovo aprii alla prima pagina per rileggere la data di acquisto, che era effettivamente il 13 febbraio 1989, come io stesso avevo scritto, ossia il giorno dopo la morte di Thomas Bernhard, morte della quale nessuno poteva essere a conoscenza, e tanto meno io, che fino a quel 13 febbraio, cioè fino al giorno in cui mi recai alle Scie e acquistai Il nipote di Wittgenstein, non sapevo nemmeno dell’ esistenza in vita dello scrittore austriaco Thomas Bernhard, e in effetti ad attirarmi fu il nome Wittgenstein, non certo il nome Bernhard, pensai rimettendo a posto Il nipote di Wittgenstein. Wittgenstein mi aveva tirato verso Bernhard, e mi aveva attirato a Bernhard, il giorno dopo la morte di Bernhard. Una di quelle coincidenze del cazzo che, a distanza di anni, e anzi, probabilmente proprio a causa di questa distanza negli anni, acquistano un senso. Ma improvvisamente questa idea di essere circondato dal pensiero di uomini morti, idea che veniva confortata dalla coincidenza sopra descritta e che anzi, proprio a causa di quella coincidenza, assumeva ora un tono particolare, invece di alimentare l’angoscia che mi aveva preso e che fino a quel momento, ossia fino al momento in cui avevo scoperto di aver comprato il mio primo Bernhard esattamente il giorno dopo la morte di Thomas Bernhard, aveva in effetti continuato ad aumentare, ora, proprio grazie a quella scoperta, diminuí di intensità fino a lasciarmi del tutto. Il pensiero della morte ha sempre avuto un grande potere su di me. Nella più nera disperazione è sempre nel pensiero della morte che trovo pace. Così, anche quel giorno, esso produsse su di me l’usato effetto. Mi calmai. Uomini morti, pensieri morti, parole morte, in fondo è con questo che abbiamo a che fare, quando abbiamo a che fare con la letteratura. Ma quelle frasi che insistevo a voler scrivere, e, prima ancora di arrivare sul foglio, cominciavo a morire. No, pensavo, non può essere tutto dentro di me; il fatto di essere qui dove tutto è piccolo, angusto, privo di prospettiva. Qui non ho più nessuna persona, ma dicevo, tutte le mie persone sono morte, e quelle che non sono morte le ho uccise in immagine. Trovarsi davanti qualcuno che per noi è morto, che noi stessi abbiamo ucciso. Ogni volta che andavo a trovare mia madre e le mie sorelle era così che mi sentivo ; ogni volta che incontravo per strada qualcuno che conoscevo, era così. Fantasmi con cui ogni contatto era impossibile, di cui non sopportavo più la presenza. Uccidili, mi dicevo, ora più niente ti trattiene, così toglierai il pensiero tutto in una volta. Uccidili tutti, tua madre e le tue sorelle, Pinocchio e sua moglie, il barista e il negoziante, la vicina, le commesse della libreria e tutti quelli che incontri, senza dimenticare il commissario, che forse non è commissario…. Vitaliano Trevisan, Il Ponte, Un crollo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2007, pp. 88-92.
13 février 1989, aux Scie avec Max. La librairie Le Scie, qui n’existe plus depuis longtemps, comme mon ami Max que j’ai tué en imagination quelques années plus tard. Comme Thomas Bernhard, pensai-je soudain, qui, justement cette même année où, tandis que moi, attiré par le nom de Wittgenstein, j’achetai son premier livre, parvenait à la fin de son existence. Et moi j’ai acheté, puis lu mon premier Bernhard la même année que sa mort, pensai-je, et j’allai aussitôt chercher la date de mort de Thomas Bernhard, mais dans l’édition que j’avais entre les mains n’apparaissait que la date de naissance. Forcément, rien d’autre que la date de naissance, pensai-je, puisque, lorsque le livre a été imprimé, Bernhard n’était pas encore mort. Alors j’en pris un autre, et je constatai que oui : l’année de la mort était bien en effet 1989, mais il n’y avait ni le jour ni le mois. Inutile de s’énerver pour ces oublis et inexactitudes. Du reste, si les libraires vendent les livres comme de la cochonnaille, les éditeurs font des livres comme on fabrique des saucissons. Reste à définir le rôle des écrivains qui, de fait, fournissent la matière première pour ces saucissons, et n’ont aucun scrupule à utiliser des pesticides et des stéroïdes et des semences génétiquement modifiées et qui sait quoi encore, de manière à offrir à l’industrie culturelle, qui est pour l’essentiel une industrie de transformation, un produit appétissant, sinon préalablement transformé, ayant pourtant toutes les qualités requises pour être aisément assimilable, prêt-à-consommer, vendable, en un mot un produit de série. D’une certaine manière, pensai-je en cherchant parmi les Bernhard, les auteurs eux-mêmes sont désormais des produits de série, ils s’imaginent être des producteurs, mais ils sont des produits. Par chance, pensai-je en continuant de feuilleter un Bernhard après l’autre, de temps en temps on rencontre un cultivateur solitaire. Je trouvai ce que je cherchais dans un recueil de textes brefs, qui comportait en appendice une fiche bio-bibliographique exhaustive. Je lus : Le 12 février 1989 meurt Thomas Bernhard dans sa maison de Gmunden, en présence de son frère Peter Fanjan, des suites d’une hypertrophie cardiaque. Selon les volontés de l’écrivain, la nouvelle de sa mort n'a été communiquée que le 16 février, au lendemain des funérailles. Dans son testament, Bernhard établit que… Mort le 12 février, pensai-je en remettant le Bernhard à sa place pour reprendre tout de suite après l’autre Bernhard, à savoir Le Neveu de Wittgenstein, que j’ouvris de nouveau à la première page pour relire la date d’acquisition, qui était bien en effet celle du 13 février 1989, comme je l’avais moi-même écrit, soit le lendemain de la mort de Thomas Bernhard, mort dont personne ne pouvait avoir connaissance, et moi encore moins, du fait que jusqu’à ce 13 février, c’est-à-dire jusqu’à ce jour où je me suis rendu aux Scie et où j’ai acheté Le Neveu de Wittgenstein, j’ignorais tout de l’existence de l’écrivain autrichien Thomas Bernhard et, en effet, ce fut le nom de Wittgenstein qui m’attira et sûrement pas celui de Bernhard, pensai-je en remettant à sa place Le Neveu de Wittgenstein. Wittgenstein m’avait tiré vers Bernhard, et m’avait attiré jusqu’à Bernhard, le lendemain de la mort de Bernhard. Une de ces coïncidences de merde qui, à distance, et sans doute justement à cause de cette distance, prennent a contrario du sens. Mais brusquement cette idée d’être encerclé par la pensée d’hommes morts, idée renforcée par la coïncidence ci-dessus décrite et qui, justement à cause de cette coïncidence, prenait à présent une tonalité particulière, au lieu d’alimenter l’angoisse qui m’avait saisi et qui, jusqu’à présent, c’est-à-dire jusqu’au moment où j’ai découvert que j’avais acheté mon premier Bernhard exactement le lendemain de la mort de Thomas Bernhard, avait en effet continué d’augmenter, à présent, justement grâce à cette découverte, se mit à diminuer d’intensité jusqu’à me lâcher complètement. La pensée de la mort a toujours eu sur moi un grand pouvoir. Dans le désespoir le plus noir, c’est toujours dans la pensée de la mort que je trouve la paix. Ainsi, même ce jour-là, elle produisit sur moi l’effet habituel. Je me calmai. Les morts, les pensées mortes, les mots morts, au fond, c’est à eux que nous avons affaire, quand nous avons affaire à la littérature. Mais ces phrases que je m’obstinais à vouloir écrire, avant même d’arriver sur la feuille, je commençai à mourir. Non, pensais-je, tout ne peut être à l’intérieur de moi ; le fait d’être ici où tout est petit, étroit, sans perspective. Ici, je n’ai plus personne, me disais-je, toutes les personnes autour de moi sont mortes, et celles qui ne sont pas mortes, je les ai tuées dans mon imagination. Se trouver devant quelqu’un qui pour nous est mort, que nous avons nous-même tué. Chaque fois que j’allais chez ma mère et chez mes sœurs, c’est ce que je ressentais ; chaque fois que je rencontrais quelqu’un de ma connaissance dans la rue, il en était de même. Des fantômes avec qui tout contact était devenu impossible, dont je ne supportais plus la présence. Tue-les, me disais-je, à présent plus rien ne te retient, ainsi tu t’en ôteras la pensée d’un seul coup. Tue-les tous, ta mère et tes sœurs, Pinocchio et sa femme, le barman et le commerçant, la voisine, les employées de la librairie, et tous ceux que tu rencontres, sans oublier le commissaire, qui peut-être n’est pas commissaire. […] D.R. Traduction inédite d’Angèle Paoli |
■ Vitaliano Trevisan sur Terres de femmes ▼ → I quindicimila passi (note de lecture + extrait) ■ Voir aussi ▼ → (sur Terres de femmes) 12 février 1989 | Mort de Thomas Bernhard → (sur Vertigine) La grammatica del destino nel memoriale di Trevisan di Emanuele Trevi |
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Comme c'est important ce texte auquel vous nous donnez accès. J'aime ce retournement. L'oppression de la mort puis son offrande de souveraine paix. C'est mourir qui est terrifiant, pas la mort, étale et si calme. Les livres de tous ces écrivains... morts, sont de l'eau de mots, du silence de mots. De la parole laissée comme empreinte de pas sur la neige. Parole qui efface ce passage invraisemblable et horrible pour nouer une présence et une absence. L'écriture peut faire cela qui se sépare des frontières pour entrer dans une parole d'éternité. Beau, Angèle, vraiment beau.
Rédigé par : christiane | 13 février 2011 à 14:18
Oui mais, il y a la fin du texte et cette citation non anodine des livres de Ludwig Wittgenstein et de Thomas Bernhard, le philosophe et l'écrivain. Alors, après avoir hésité, je reviens dans la morsure. Ce T.B. était un fauteur de troubles, un ironiste si proche de ce L.W., poète-philosophe si pur, presque en exil, loin de lui-même. Des grands solitaires obsédés par la mort et le suicide, écoeurés par l'hypocrisie de la société autrichienne qu'ils vivaient dans un rapport d'amour-haine. Ce passage vie-mort, ce mystère, ce chemin vers le néant, cette colère, cette ironie, cette douleur, cette pensée de la mort rendent la vie absurde, presque ridicule. La plume acérée de Vitaliano Trevisan a su les trouver. Pour lui aussi la mort et son obscurité engendrent une écriture incandescente, exigeante et cruelle attirant son contraire : la lumière. Obscurité spirituelle, ascèse... un même désespoir.
Rédigé par : christiane | 13 février 2011 à 18:17
C'est un sans-tête, mais qui a une queue, ce petit mot-grain que je vous adresse ici, chère Angèle, pour vous exprimer mon admiration et vous dire que ce que vous offrez à vos lecteurs à travers vos traductions d'hier et d'aujourd'hui est gravement conséquent pour le domaine de la traduction qui s'épanouit agréablement sur vos terres.
Avec un texte original et un autre traduit, sans compter les langues auxquelles vous ne cessez de réserver à tour de rôle de la place sur vos terres abondantes, c'est la ronde des langues que avez formidablement créée, et à travers laquelle vous nous faites lire le monde. Telle est, en mon sens, l'importance la plus excellente de la traduction !
Mais mieux encore, vous ensemencez non seulement d'une main mais d'une ronde de mains ! et au grand bonheur de la science peut-être, vous pratiquez une expérience tout-à-fait inédite : "vous semez en éventail" !
Une musique d'une cadence très agréable doit vous faire valser, tout en labourant votre terre dans tous les sens.
La nouvelle Semeuse d'Eugène Grasset, n'est-ce pas vous?
Comme vous êtes agréable à traduire, chère Angèle, tant vous traduisez et faites lire agréablement !
Rédigé par : Mahdia Benguesmia | 14 février 2011 à 01:17
Un mot qui retient toute mon attention dans ce texte extraordinaire de Vitaliano Trevisan qui l'y fait souscrire, en mon sens, comme l'ultime pensée de cette écriture : "Dans le désespoir le plus noir, c'est toujours dans la pensée de la mort que je trouve la paix".
Je pense ici, à travers ceci, au chemin, au parcours, à la marche, et je me rends compte que cet écrivain a tout fait, a tout compris, a tout dit.
Comme elle est étrange et belle et vraie cette idée qui ne situe pas la mort au bout, à la fin, et logiquement pas au début, au commencement, mais au milieu, dans l'espace de la pause, de l'arrêt, après un chemin, quelque quantité de chemin que ce soit !
Une idée pourtant présente, avec ses nuances bien sûr, dans toutes les religions, mais que les hommes mal apprêtés à la poésie de leurs cœurs omettent,
en pensant uniquement à un parcours à deux étapes : la vie et la mort.
Là s'explique le désir de l'écrivain de tuer sans culpabilité comme il le fait sonner sans danger à ses mots car pour lui, la vie est celle des autres qui dorment éternellement dans les livres qui habitent sa bibliothèque.
Une bibliothèque bien vivante de mort(s) - A ne pas confondre avec un cimetière, qu'il n'en déplaise à Sartre !
Rédigé par : Mahdia Benguesmia | 14 février 2011 à 02:16
« Les tuer tous » et voilà que je lis au-delà de ces mots, presque par antiphrase, je lis l’hommage, la révérence, les retrouvailles même. Je lis l’amour et la puissance qu’il faut pour rompre les cordages, aller et revenir avec la récompense vers ceux qui ont su lire en vous mieux que vous, et vous laisser partir. Je ne suis pas certaine de bien me faire comprendre (mais qu’importe, la compréhension est en dehors des mots !). Suis-je dans un jour sombre ? Aragon avait-il raison : n’y a-t-il pas d’amour heureux et porte-t-on ceux qu’on aime comme un oiseau blessé ? Pas tant que cela. La beauté des âmes existe, je l’ai rencontrée. Alors, « les tuer tous », absorber leur feu, boire leur sang et leur dire simplement, leur signifier comme à contre-courant : « Vous avez tant compté ! Vous comptez toujours tant que je m’autorise une fois encore l’air salin du grand large… pour vous le rapporter ! » Ce texte –est-il besoin de le préciser ? – est fort à l’extrême.
Simplement merci.
Rédigé par : Sylvie Saliceti | 14 février 2011 à 15:51